Biblioteca A. Torri - Il “sibillone” di Alessandro Torri

Scheda a cura di Selene Maria Vatteroni

Sibillone

Il curioso termine sibillone, cioè ‘sonetto a rime obbligate’, fa da sottotitolo al sonetto autobiografico Il mio anniversario natalizio che Torri compone in occasione del suo 70o compleanno, il 13 ottobre 1850 (come si evince dai vv. 1-3). Eccone il testo:

"Nel secol di Gesù diciannovesimo
Il lustro quartodecimo varcai
Oggi, d’ottobre giorno tredicesimo,
Già presso a profferir gli ultimi lai.              4

Nella patria Verona ebbi il battesimo;
Or vivo in Pisa a tribolar di guai
Da ben cinque anni sopra il ventunesimo,
Nè forse il patrio ciel vedrò più mai.             8

Meditar lungo e studio nelle pagine
Del sovrano testor del trino Carme
Affranser la mia fisica compagine.              11

Pur lieto andrò se del sudor l’aspergine
Fatta su l’opre sue basti ad aitarme
Che il nome mio non fia di fama vergine."

Il sibillone si conserva in una copia autografa dell’autore in una miscellanea manoscritta di «poesie varie ed iscrizioni italiane, latine, francesi sopra Dante Allighieri» che – come si ricava dal frontespizio – nel 1854 Torri comincia a raccogliere in questo volume «e in altri nove [corretto su sette] a stampa», vale a dire nei volumi miscellanei di opuscoli ed estratti a stampa intitolati Poesie sopra Dante, che fanno parte della collezione torriana degli Opuscoli sopra Dante conservata nel Fondo [>>] (se ne rintracciano però solo otto: Misc. 01-Misc. 07 e Misc. 09).
Il sonetto è corredato da tre note esplicative dello stesso Torri, indicate rispettivamente con uno, due e tre asterischi. La prima, ai vv. 12-13, dà conto delle sue fatiche dantesche, l’edizione dell’Ottimo commento alla Commedia e quella delle opere minori dell’Alighieri – che però non sarà mai «compiuta», perché non verranno pubblicati i volumi del Convivio e delle Rime: [>>]

"*) Dopo la Divina Commedia col comento intitolato l’Ottimo dell’Anonimo contemporaneo di Dante, testo di lingua da me pubblicato nel 1829 (Pisa, 3 vol.I in –8o fig.), posi in ordine una compiuta edizione delle Prose e delle Poesie liriche dello stesso Allighieri, alcune delle quali inedite, corredandole di note e illustrazioni d’altri e mie (Livorno, 1843-50, vol. in – 8o, quattro dei quali ormai venuti in luce)."

Sibillone1

La seconda nota, al verso finale, commenta l’uso dell’aggettivo vergine ricorrendo all’auctoritas, non solo stilistica ma anche ideologica, del Manzoni del Cinque maggio (vv. 19-20):

"**) L’obbligo della rima mi fece ricorrere per questa frase all’autorità di quel grande, che disse la sua musa
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio”.

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Sembrami però lecito nè immodesto il desiderio, che almen dopo morte non resti vergine di qualche fama o grata memoria ne’ posteri il nome di chi, avendo dedicato i floridi anni della vita al servigio della patria, consacrò i rimanenti a promovere, non senza profitto altrui, l’affetto ed il culto al più eminente poeta e filosofo italiano."

Fin dalla giovinezza veronese, infatti, Torri abbracciò gli ideali del Risorgimento, ragion per cui – come racconta ai vv. 5-8 del Sibillone – nel 1822 si vide costretto a trasferirsi nella più libera e ospitale Toscana, prima a Firenze e poi, dal 1826, stabilmente a Pisa. [>>] In patria Torri aveva rinunciato alla carriera legale per mettersi, come dice lui stesso, «al servigio della patria», ricoprendo numerosi incarichi pubblici – fu ad esempio caposezione della polizia e poi della prefettura, ma anche membro della commissione dipartimentale esaminatrice dei maestri e ispettore dipartimentale alle stampe e ai libri –,[1] ma già nel 1814, agli albori della Restaurazione, scelse di mettere fine anche a questa carriera, «ricusando di proseguire in impiego a servigio di Governo non nazionale», come si legge in una sua lettera a Matteo Marcacci del 30 ottobre 1850.[2] Da quel momento Torri cominciò a dedicarsi a tempo pieno all’attività di libraio-editore e di studioso soprattutto di Dante, che non a caso è l’unico autore menzionato sia nel sonetto (come «testor del trino Carme», cioè della Commedia) sia nella nota (come il maggiore «poeta e filosofo» italiano). Questa è l’attività che Torri proseguì poi nell’ “esilio” toscano: di sicuro, quando scrive, nell’introduzione alla Vita nuova (Livorno, Vannini, 1843), che nello studio delle opere dantesche

"trovarono qualche conforto le incresciose vicende della mia vita; avendomi egli insegnato ad esser tetragono ai colpi di sventura, ed a soffrire con dignitosa rassegnazione[.]"

egli allude proprio al doloroso abbandono della madrepatria Verona, che invece – ironia della sorte – era stata rifugio all’esule Dante. Torri non rinuncia a mettere l’accento sul prezioso servizio che il suo lavoro di dantista ha prestato alla comunità degli studiosi, quella che altrove chiama «repubblica delle lettere»: i suoi volumi delle Prose e poesie liriche di Dante Allighieri, ad esempio, sono corredati di «note e illustrazioni» anche dei precedenti editori – come ricorda nella prima nota – proprio per facilitare gli altri studiosi nelle ricerche bibliografiche, e spesso contengono spogli lessicali a vantaggio in particolare degli storici della lingua [>>].
La seconda nota presenta il rimando a una terza ed ultima, che ci riporta al sonetto e alla miscellanea in cui è raccolto:

"***) Ho posto qui non per vanto questo mio Sibillone, ma perché parlandovisi di Dante, parevami non doversi escludere da una raccolta poetica risguardante al sommo Autore, tanto più ch’esso diede motivo a due risposte pure in versi de’ miei concittadini Caterina Contessa Bon-Brenzoni, e Dott. Filippo Caval. Scolari sotto i n.ri [spazio bianco] del presente volume. Aless.o Torri."

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L’esistenza di queste due risposte è tanto più curiosa, se si pensa che in origine la parola sibillone designa un gioco diffuso nelle accademie letterarie, consistente nel proporre un argomento a qualcuno che, facendo da sibilla, doveva dare appunto risposte bizzarre e oscure che il resto dei partecipanti era poi chiamato a decifrare.
Il sonetto di risposta della contessa, che riprende le parole-rima del Sibillone, figura in una copia autografa di Torri su uno dei fogli iniziali della miscellanea:

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"Bon Brenzoni C.sa Caterina al suo concittadino Alessandro Torri risponde colle stesse rime d’un suo sibillone in cui parla di Dante.

O lieto il lustro a te diciannovesimo
Giunga, e dirmi t’ascolti: «io lo varcai»!
Indi il giorno d’ottobre tredicesimo
Lungo a te rieda senza duoli e lai.                         4

Torna al fonte gentil del tuo battesimo,
E vi sommergi antichi e nuovi guai;
Chè da ben cinque sopra il ventunesimo
Anni atteso vi se’ più ch’altri mai.                         8

Plaude intera l’Italia a quelle pagine,
onde più agevol fai del trino Carme
la soprumana penetrar compagine.                       11

Oh felice il sudor, che fu l’aspergine
Del lauro tuo! non dir: «basti ad aitarme»!
Ben t’aiutò, poiché quel lauro è vergine."

Segue anche in questo caso una nota dello stesso Torri:

"NB. Il mio Sibillone è a pag. [spazio bianco] di questo volume. Ho posto qui la presente risposta non per vanità ambiziosa, ma perché mi attesta un tratto di gentile benevolenza, sebbene al di là di quanto mi paia meritare, e perché con un solo epitteto qualificativo definisce il grande Poema dantesco."

La veronese Caterina Bon Brenzoni (1813-1856), poetessa – autrice anche di poesie patriottiche – e animatrice di un salotto letterario, fu in rapporti di «sincera simpatia ed amicizia» con Torri, che ne pubblicò il poemetto Dante e Beatrice (Pisa, Pieraccini, 1853), originariamente destinato proprio a una raccolta di poesie su Dante che sarebbe dovuta uscire come decimo “aneddoto” della Nuova serie di aneddoti danteschi pianificata dallo stesso Torri (cfr. «L’Etruria. Studj di filologia, di letteratura, di pubblica istruzione e di belle arti», II, 1852, pp. 443-448, ma anche la nota finale all’edizione del poemetto, di cui si conserva un esemplare annotato nel Fondo A. Torri, Miscellanea 9, no 5, p. 28). Del sonetto della contessa egli deve aver apprezzato soprattutto i vv. 9-11, in cui Caterina loda l’utilità della sua edizione delle opere minori di Dante per lo studio della «soprumana [...] compagine» della Commedia (questo l’epiteto che gli piace tanto): nelle introduzioni ai singoli volumi Torri aveva infatti ribadito che il suo scopo era proprio quello di fornire uno strumento di «introduzione preparatoria» allo studio del poema, ovvero di «avviamento all’intelligenza» di esso.
La seconda risposta, stavolta non per le rime, è del veneziano Filippo Scolari (1792-1872), impiegato nei pubblici uffici e letterato, in particolare esponente della corrente cattolica della critica dantesca. Il suo sonetto si trova, sempre in una copia autografa di Torri, qualche foglio prima del Sibillone:

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"Scolari Cav. Dott. Filippo ad Alessandro Torri benemerito ed accurato editore ed illustratore delle Opere minori di Dante Allighieri. Sonetto 1852.

Poiché dall’Allighier potesti attingere
Tanta virtù, che ne’ suoi scritti imprimere
Il tuo nome sapesti, e tanto esprimere
Di valor, che n’avesti un serto a cingere;             4

Lieto ben puoi della tua vita spingere
Il corso, nè temer che gli anni opprimere
Possan tue laudi: il merto per deprimere
Tempo non val, nè addietro il può respingere.      8

Te l’Adige natio, te l’Arno e il Tevere,
Te onoreranno insiem le terre Ausonie,
Cui puro desti a sì gran fonte bevere.                 11

Dell’immortalità le Dive Aonie
I tuoi pari nel seno aman ricevere,
E son dantesche, quanto son meonie."

Segue come al solito una nota di Torri:

"È in risposta al mio Sibillone sul mio anniversario natalizio stampato l’anno scorso. Debbo all’antica amicizia dell’Autore questa dimostrazione d’affetto, come incoraggiamento a continuar con ardore i comuni studi danteschi; ben lungi ch’io mi creda degno dei prodigativi encomi. Aless.o Torri."

In effetti il Sibillone viene stampato a Pisa presso la tipografia Prosperi nel 1855 (ciò significa che questa nota risale al 1856, quando Torri stava ancora finendo di allestire la miscellanea), su fogli sciolti – due se ne conservano tra le carte del Fondo –, completo delle note dell’autore.

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Nella versione a stampa si notano alcune interessanti differenze rispetto a quella manoscritta. Innanzitutto, al v. 2 del sonetto si legge «lustro quintodecimo» anziché «lustro quartodecimo», dal momento che nel 1855 Torri festeggiava ormai, appunto, il suo 75o compleanno; al v. 8, inoltre, si legge «natío ciel» in luogo di «patrio ciel». Anche le note vanno soggette ad alcuni aggiustamenti: scompare la terza, e con essa la notizia dei due sonetti di risposta; viene aggiunta invece una nota 1, che commenta il termine compagine del v. 11 rimandando a un passo biblico («Dissolutœ sunt compages meœ, et nihil in me remansit virium. Daniel, X, 16»); la seconda nota, slittata al numero 3, rimane invariata; mentre nella prima, diventata nota 2, si trova un aggiornamento bibliografico relativo all’edizione torriana delle opere minori di Dante:

"[...] posi in ordine una compiuta edizione delle Prose e delle Poesie liriche dello stesso Allighieri [...] (Livorno, 1843-50, vol. 6 in 8o, quattro de’ quali venuti in luce, restando il Convito, vol. 2o, ora sotto stampa, e per ultimo le Rime, vol. 6o)."

Come si diceva all’inizio, in realtà questi due volumi non verranno mai pubblicati – nemmeno il Convivio, che pure nel 1855 era davvero «in stampa», come dimostra l’esemplare di bozza conservato nel Fondo [>>] –, a causa delle ristrettezze economiche che Torri lamenta fin dal 1850, in una lettera allo stesso Scolari del 20 ottobre:

"Già fin d’ora sto preparando la stampa del Convito, e farò di tutto, perché venga a luce colle future violette, se pure l’incasso del Vol. 4o [= Della lingua volgare di Dante Allighieri] rifarà le spese, e lascierà al tipografo un avanzo per continuare. Già di compensi per me non è ancora il caso di parlare, poichè altrimenti non si andrebbe avanti coll’edizione. Ecco la incoraggiante posizione degli Editori in Italia!"

e ancora nel 1852, in un’altra lettera all’amico del 23 novembre in cui afferma che «le stesse ragioni ritardano il Convito».[3] Ecco perché nello stesso 1852 Filippo gli manda questo sonetto di «incoraggiamento» e di lode per il suo lavoro di editore del Dante minore, che non solo gli procura gloria in tutta Italia (nelle «terre ausonie»), ma lo rende degno del cospetto delle muse (le «Dive Aonie»), presso le quali dimorano Dante stesso e Omero (questo il significato del v. 14). Tuttavia va precisato che il sonetto è precedente alla lettera del 23 novembre: viene pubblicato infatti in nota alla lettera di Scolari a Torri apparsa sul fascicolo di aprile dell’«Etruria» (vol. II, 1852, ma la lettera è datata 12 aprile 1851), quasi a compenso delle argomentazioni espresse in questa sede – e non senza un certo risentimento –dall’autore contro la paternità dantesca del De vulgari eloquentia, sostenuta invece da Torri.

 

[1] Cfr. Pino Simoni, Profilo bio-bibliografico di Alessandro Torri, in «Studi storici Luigi Simeoni», 42, 1992, pp. 117-146, a p. 119.

[2] Cfr. Abd-El-Kader Salza, Dal carteggio di Alessandro Torri. Lettere scelte sugli autografi e postillate, Pisa, Nistri, 1897, p. v.

[3] Cfr. Averardo Pippi, Otto lettere di Alessandro Torri a Filippo Scolari, Firenze, Landi, 1889, pp. 24 e 25.